NOVITÀ CIVILE

10 maggio 2022

Con la sentenza n. 13143 del 27 aprile 2022 le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato i seguenti principi di diritto:

«Ai fini della responsabilità solidale di cui all’art. 2055, primo comma, c.c., che è norma sulla causalità materiale integrata nel senso dell’art. 41 c.p., è richiesto solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale), in quanto la norma considera essenzialmente l’unicità del fatto dannoso, e tale unicità riferisce unicamente al danneggiato, senza intenderla come identità di norme giuridiche violate; la fattispecie di responsabilità implica che sia accertato il nesso di causalità tra le condotte caso per caso, per modo da potersi escludere se a uno degli antecedenti causali possa essere riconosciuta efficienza determinante e assorbente tale da escludere il nesso tra l’evento dannoso e gli altri fatti ridotti al semplice rango di occasioni».

«In caso di capitali conferiti a società fiduciarie di cui alla l. n. 1966 del 1939, lo strumento giuridico utilizzato per l’adempimento è quello del mandato fiduciario senza rappresentanza finalizzato alla mera amministrazione dei capitali medesimi, salva rimanendo la proprietà effettiva di questi in capo ai mandanti; conseguentemente la società fiduciaria che abbia mal gestito il capitale conferito, e che non sia quindi in grado di riversarlo ai mandanti perché divenuta insolvente, risponde sempre ed essenzialmente del danno correlato all’inadempimento del mandato e alla violazione del patto fiduciario, e la relativa obbligazione, quand’anche azionata mediante l’insinuazione concorsuale, e quand’anche parametrata all’ammontare del capitale conferito e perduto, è sempre un’obbligazione rísarcitoria da inadempimento del mandato, la quale concorre, ai sensi dell’art. 2055 cod. civ., con quella eventuale dell’organo (il Mise) chiamato a esercitare l’attività di vigilanza».

«Nel caso di società fiduciaria posta in l.c.a., l’ammissione allo stato passivo determina, sia per i creditori ammessi direttamente a seguito della comunicazione inviata dal commissario liquidatore ai sensi dell’art. 207, primo comma, legge fall., sia per i creditori ammessi a domanda ai sensi dell’ art. 208 stessa legge, l’interruzione della prescrizione con effetto permanente per tutta la durata della procedura, a far data dal deposito dell’elenco dei creditori ammessi, ove si tratti di ammissione d’ufficio, o a far data dalla domanda rivolta al commissario liquidatore per l’inclusione del credito al passivo, nel caso previsto dall’art. 208 legge fall.; tale effetto, ai sensi dell’art. 1310, primo comma, cod. civ., si estende anche al Mise, ove coobbligato solidale per il risarcimento del danno da perdita dei capitali fiduciariamente conferiti nella società soggetta a vigilanza divenuta insolvente».

8 novembre 2021

Con la sentenza n. 32198 del 5 novembre 2021 le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno fornito un ulteriore chiarimento sulla controversa natura dell’assegno divorzile, enunciando di seguenti principi di diritto:
«L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno.
Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, man-tiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa.
A tal fine il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio fa-miliare e personale dell’ex coniuge.
Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge, ma deve essere quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto altresì della durata del matrimonio».

30 agosto 2021

Con la sentenza n. 21970 del 2 agosto 2021, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato, a conclusione di un’approfondita ricostruzione sistematica, che la fusione per incorporazione estingue la società incorporata, la quale non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, avendo nondimeno la società incorporante la facoltà di spiegare intervento in corso di causa, ai sensi dell’art. 105 cod. proc. civ., nel rispetto delle regole che lo disciplinano.

17 aprile 2021

Con la sentenza n. 9839 del 14 aprile 2021 le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato i seguenti principi di diritto:
La mancata comunicazione alla parte costituita, a cura del cancelliere – ai sensi dell’art. 176, secondo comma, cod. proc. civ. – dell’ordinanza istruttoria pronunciata dal giudice fuori dell’udienza provoca la nullità dell’ordinanza stessa e la conseguente nullità, ai sensi dell’art. 159 cod. proc. civ., degli atti successivi dipendenti, a condizione che essa abbia concretamente impedito all’atto il raggiungimento del suo scopo, nel senso che abbia provocato alla parte un concreto pregiudizio per il diritto di difesa; se la parte abbia comunque avuto conoscenza dell’udienza fissata per la prosecuzione del processo ed abbia partecipato ad essa senza dedurre specificamente l’eventuale pregiudizio subito per il diritto di difesa e senza formulare istanze dirette ad ottenere il rinvio dell’udienza, la nullità deve ritenersi sanata per raggiungimento dello scopo dell’atto, ai sensi dell’art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio, della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta in via di azione – mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione in opposizione – ai sensi dell’art. 1137, secondo comma, cod. civ., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione.
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, l’eccezione con la quale l’opponente deduca l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, senza chiedere una pronuncia di annullamento di tale deliberazione, è inammissibile e tale inammissibilità va rilevata e dichiarata d’ufficio dal giudice.
In tema di condominio negli edifici, sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell’assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico – dando luogo, in questo secondo caso, ad un “difetto assoluto di attribuzioni” – e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all’ordine pubblico” o al “buon costume”; al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l’azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nel termine di cui all’art. 1137 cod. civ.
In tema di deliberazioni dell’assemblea condominiale, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135, numeri 2) e 3), cod. civ. e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, secondo comma, cod. civ.

4 gennaio 2021

Con la sentenza n. 28972 del 17 dicembre 2020 le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto:
La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’articolo 1102 c. c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi.

19 settembre 2020

Con la sentenza n. 19597 del 18 settembre 2020 le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato i seguenti principi di diritto:
La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma altresì degli interessi moratori, che sono comunque convenuti e costituiscono un possibile debito per il finanziato.
La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali de quibus, ove essi ne contengano la rilevazione statistica.
Se i decreti non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.E.G.M., così come rilevato.
Si applica l’art. 1815, comma 2, c.c., ma in una lettura interpretativa che preservi il prezzo del denaro: sicché non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma sono dovuti gli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti.
Nei contratti conclusi con un consumatore è dato anche il ricorso agli art. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del codice del consumo di cui al d.lgs. n. 206 del 2005.
L’onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 1697 c.c., sono i seguenti: da un lato il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto.

17 agosto 2020

Con la sentenza n. 16273 del 5 agosto 2020 le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto:

«L’inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell’art. 2725, comma 1, c. c., attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; qualora, nono-stante l’eccezione d’inammissibilità, la prova sia stata egualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall’art. 157, comma 2, c.p.c., rimanendo altri-menti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione».

28 giugno 2020

Con la sentenza n. 11866 del 28 giugno 2020 le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto:

«Posto che a norma dell’art. 38 c.p.c., che ha comportato il superamento della distinzione tra criteri di competenza “forti” e “deboli”, l’incompetenza per materia o per territorio, nei casi previsti dall’art. 28 c.p.c., deve essere rilevata d’ufficio entro la prima udienza di trattazione, ne discende, a pena d’inammissibilità, che il regolamento d’ufficio, dovendo immediatamente seguire al rilievo dell’incompetenza, deve essere richiesto – nel giudizio di primo grado – nella stessa prima udienza di trattazione, anche a seguito di eventuale riserva assunta in quella sede, e, nel giudizio di appello, al massimo entro il termine di esaurimento delle attività di trattazione contemplate dall’art. 350 c.p.c., ossia prima che il giudice del gravame provveda all’eventuale ammissione delle prove ai sensi dell’art. 356 c.p.c., ovvero – in caso di mancata necessità di espletamento di attività istruttoria – prima che il giudice di secondo grado proceda ad invitare le parti a precisare le conclusioni e a dare ingresso alla fase propriamente decisoria».

29 maggio 2020

Con la sentenza n. 9769 del 26 maggio 2020, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto:

«La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore».

13 maggio 2020

Con la sentenza n. 8770 del 12 maggio 2020 le Sezioni uniti civili della Corte di cassazione hanno enunciato i seguenti principi di diritto:

«Il riconoscimento della legittimazione dell’Amministrazione a concludere contratti derivati, sulla base della disciplina vigente fino al 2013 (quando la legge n. 147 del 2013 ne ha escluso la possibilità) e della distinzione tra i derivati di copertura e i derivati speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi, comportava che solamente nel primo caso l’ente locale potesse dirsi legittimato a procedere alla loro stipula.

In tema di contratti derivati, stipulati dai Comuni italiani sulla base della disciplina normativa vigente fino al 2013 (quando la legge n. 147 del 2013 ha escluso la possibilità di farvi ulteriore ricorso) e della distinzione tra i derivati di copertura e i derivati speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi, pur potendo l’ente locale procedere alla stipula dei primi con qualificati intermediari finanziari nondimeno esso poteva utilmente ed efficacemente procedervi solo in presenza di una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del mark to market sia degli scenari probabilistici, sia dei cd. costi occulti, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l’ente di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto, costituente una rilevante disarmonia nell’ambito delle regole relative alla contabilità pubblica, introduttiva di variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa riportati in bilancio.

Gli importi ricevuti a titolo di upfront costituiscono indebitamento ai fini della normativa di contabilità pubblica e dell’articolo 119 Cost., anche per il periodo antecedente l’approvazione dell’articolo 62, comma 9, del d.l. n. 112 del 2008, come modificato dalla legge n. 133 del 2008 in sede di conversione e, successivamente, sostituito dall’articolo 3 della legge n. 203 del 2008 (finanziaria per il 2009), il quale ha stabilito che “sulla base dei criteri definiti in sede europea dall’Ufficio statistico delle Comunità europee (EUROSTAT), l’eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate costituisce indebitamento dell’Ente”. La normativa del 2008 ha perciò preso atto della natura di indebitamento di quanto conseguito con l’upfront, senza innovare l’ordinamento.

L’autorizzazione alla conclusione di un contratto di swap da parte dei Comuni italiani, specie se del tipo con finanziamento upfront, ma anche in tutti quei casi ín cui la sua negoziazione si traduce comunque nell’estinzione dei precedenti rapporti di mutuo sottostanti ovvero anche nel loro mantenimento in vita, ma con rilevanti modificazioni, deve essere data, a pena di nullità, dal Consiglio comunale ai sensi dell’articolo 42, comma 2, lett. i), TUEL di cui al D. Igs. n. 267 del 2000 [laddove stabilisce che «Il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali: (…) – spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi (…)»]; non potendosi assimilare ad un semplice atto di gestione dell’indebitamento dell’ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, adottabile dalla giunta comunale in virtù della sua residuale competenza gestoria ex art. 48, comma 2, dello stesso testo unico».

9 maggio 2020

Con la sentenza n. 8434 del  30 aprile 2020 le Sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno enunciato i seguenti principi di diritto:

«I) Il programma negoziale con cui il proprietario di un lastrico solare intenda cedere ad altri, a titolo oneroso, la facoltà di installarvi e mantenervi per un certo tempo un ripetitore, o altro impianto tecnologico, con il diritto per il cessionario di mantenere la disponibilità ed il godimento dell’impianto, ed asportare il medesimo alla fine del rapporto, può astrattamente essere perseguito sia attraverso un contratto ad effetti reali, sia attraverso un contratto ad effetti personali. La riconduzione del contratto concretamente dedotto in giudizio all’una o all’altra delle suddette categorie rappresenta una questione di interpretazione contrattuale, che rientra nei poteri del giudice di merito.
II) Lo schema negoziale a cui riferire il contratto con il quale le parti abbiano inteso attribuire al loro accordo effetti reali è quello del contratto costitutivo di un diritto di superficie, il quale attribuisce all’acquirente la proprietà superficiaria dell’impianto installato sul lastrico solare, può essere costituito per un tempo determinato e può prevedere una deroga convenzionale alla regola che all’estinzione del diritto per scadenza del termine il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione. Il contratto con cui un condominio costituisca in favore di altri un diritto di superficie, anche temporaneo, sul lastrico solare del fabbricato condominiale, finalizzato alla installazione di un ripetitore, o altro impianto tecnologico, richiede l’approvazione di tutti i condomini.
III) Lo schema negoziale a cui riferire il contratto con il quale le parti abbiano inteso attribuire al loro accordo effetti obbligatori è quello del contratto atipico di concessione ad aedificandum di natura personale, con rinuncia del concedente agli effetti dell’accessione.
Con tale contratto il proprietario di un’area concede ad altri il diritto personale di edificare sulla stessa, di godere e disporre dell’opera edificata per l’intera durata del rapporto e di asportare tale opera al termine del rapporto. Detto contratto costituisce, al pari del diritto reale di superficie, titolo idoneo ad impedire l’accessione ai sensi dell’articolo 934, primo comma, c.c.. Esso è soggetto alla disciplina dettata, oltre che dai patti negoziali, dalle norme generali contenute nel titolo II del libro IV del codice civile (art. 1323 c.c.), nonché, per quanto non previsto dal titolo, dalle norme sulla locazione, tra cui quelle dettate dagli artt. 1599 c.c. e 2643 n. 8 c.c. Il contratto atipico di concessione ad aedificandum di natura personale stipulato da un condominio per consentire ad altri la installazione di un ripetitore, o altro impianto tecnologico, sul lastrico solare del fabbricato condominiale richiede l’approvazione di tutti i condomini solo se la relativa durata sia convenuta per più di nove anni».

11 marzo 2020

Con la sentenza n. 6459 del 6 marzo 2020 le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato i seguenti principi di diritto:

«Per il patto fiduciario con oggetto immobiliare che si innesta su un acquisto effettuato dal fiduciario per conto del fiduciante, non è richiesta la forma scritta ad substantiam; ne consegue che tale accordo, una volta provato in giudizio, è idoneo a giustificare l’accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario».
«La dichiarazione unilaterale scritta dal fiduciario, ricognitiva dell’intestazione fiduciaria dell’immobile e promissiva del suo ritrasferimento al fiduciante, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma, rappresentando una promessa di pagamento, ha soltanto effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario, realizzando, ai sensi dell’art. 1888 c.c., una astrazione processuale della causa, con conseguente esonero a favore del fi-duciante, destinatario della contra se pronuntiatio, dell’onere del-la prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria».
Hanno ritenuto che  «analogamente a quando avviene nel mandato senza rappresentanza, dunque, anche per la validità dal pactum fiduciae prevedente l’obbligo di ritrasferire al fiduciante il bene immobile intestato al fiducia-rio per averlo questi acquistato da un terzo, non è richiesta la forma scritta ad substantiam, trattandosi di atto meramente interno tra fiduciante e fiduciario che dà luogo ad un assetto di interessi che si esplica esclusivamente sul piano obbligatorio. L’accordo concluso verbalmente è fonte dell’obbligo del fiduciario di procedere al successivo trasferimento al fiduciante anche quando il diritto acquistato dal fiduciario per conto del fiduciante abbia natura immobiliare».

5 marzo 2020

Con sentenza n. 5685 del 2 marzo 2020, Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: «in caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica, il meccanismo delineato dall’art. 118, terzo comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 – che consente alla stazione appaltante di sospendere i paga-menti in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei paga-menti effettuati da quest’ultimo al subappaltatore – deve ritenersi riferito all’ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un’impresa in bonis e, dunque, non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto si scioglie; ne consegue che al curatore è dovuto dalla stazione appaltante il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all’intervenuto scioglimento del contratto e che il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell’appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell’ordine delle cause di prelazione».

24 febbraio 2020

Con la sentenza n. 4315 del 20 febbraio 2020 le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato i seguenti principi di diritto:

«In tema di patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al detto patrocinio spetta, per il giudizio di cassazione, al giudice di rinvio ovvero – nel caso di mancato rinvio – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato».
«Salvo il caso in cui la causa sia stata rimessa al giudice di rinvio, il giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 136 T.U.S.G. per la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato cui una delle parti sia stata ammessa».

21 febbraio 2020

Con la sentenza n. 4247 del 2020, depositata il 19 febbraio 2020, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: «nel caso in cui un avvocato abbia scelto di agire ex art. 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, come modificato dalla lett. a) del comma 16 dell’art. 34 del d.lgs. 10 settembre 2011, n. 150, nei confronti del proprio cliente, proponendo l’azione prevista dall’art. 14 del decreto legislativo n. 150 del 2011 e chiedendo la condanna del cliente al pagamento dei compensi per l’opera prestata in più gradi e/o fasi del giudizio, la competenza è dell’ufficio giudiziario di merito che ha deciso per ultimo la causa».

29 gennaio 2020

Con la sentenza n. 1867 del 2020, depositata il 28 gennaio 2020, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di rapporto di lavoro giornalistico, l’attività del collaboratore fisso espletata con continuità, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio rientra nel concetto di “professione giornalistica”. Ai fini della legittimità del suo esercizio è condizione necessaria e sufficiente la iscrizione del collaboratore fisso nell’albo dei giornalisti, sia esso elenco dei pubblicisti o dei giornalisti professionisti: conseguentemente, non è affetto da nullità per violazione della norma imperativa contenuta nell’art. 45 L. n. 69/1963 il contratto di lavoro subordinato del collaboratore fisso, iscritto nell’elenco dei pubblicisti, anche nel caso in cui svolga l’attività giornalistica in modo esclusivo».

17 novembre 2019

Con la sentenza n. 29459 del 13 novembre 2019 le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo per-messo attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il d.l. n. 113 del 2018, convertito con l. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dall’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per “casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge».

8 ottobre 2019

Con la sentenza n. 25021 del 7 ottobre 2019 le Sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio: «Quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria che sia), il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’art. 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato con-dizione dell’azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della “possibilità giuridica”, e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito al-le parti nell’ambito della loro autonomia negoziale. La mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell’edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio».

23 luglio 2019

Con la sentenza n. 19681 del 22 luglio 2019, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del cd. diritto all’oblio) e quello alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a detta rievocazione, che è espressione della libertà di stampa protetta e garantita dall’art. 21 Cost. – ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo ove si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà sia per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva».

17 giugno 2019

Con la sentenza n. 15895 del 13 giugno 2019, le sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno enunciato i seguenti principi di diritto:
«L’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, e la dichiarazione di volerne profit-tare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie».
«Ai fini del decorso degli interessi in ipotesi di ripetizione d’indebito oggettivo, il termine “domanda”, di cui all’art. 2033 c.c., non va inteso come riferito esclusivamente alla domanda giudiziale ma comprende, anche, gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora, ai sensi dell’art. 1219 c.c.».

23 maggio 2019

Con la sentenza n. 13361 del 21 maggio 2019 le Sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio: «In tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dall’art. 75, 3° co., c.p.p., che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l’uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651, 651 -bis, 652 e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell’impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato».
Come la Corte ha ben chiarito, nel codice di procedura penale del 1988 si favorisce la separazione del giudizio civile da quello penale; e la sospensione del giudizio civile in attesa della definizione del processo penale non è destinata a prevenire un possibile contrasto di giudicati, ma solo a far valere nel giudizio civile l’efficacia del giudicato penale nei casi in cui è prevista. Sicché sono tassativi i casi in cui è possibile derogare al favor separationis; e la sospensione non è ammessa nel giudizio civile pendente anche tra soggetti estranei al processo penale. Infatti, ha precisato la Corte, «estendere l’applicazione di un’ipotesi derogatoria a un caso, come quello in esame, in cui tutte le parti del giudizio civile non coincidano con tutte quelle del processo penale, sacrificherebbe in maniera ingiustificata l’interesse dei soggetti coinvolti alla rapida definizione della propria posizione, in aperta collisione con l’esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo, presente nel nostro ordinamento ben prima dell’emanazione dell’art. 111, 2° comma, Cost., e comunque assurta a rango costituzionale per effetto di esso».

29 aprile 2019

Sulla Gazzetta ufficiale n. 92 del 18 aprile 2019 è stata pubblicata la legge 12 aprile 2019, n. 31, con le nuove disposizioni in materia di azione di classe, che introduce nel codice di procedura civile il nuovo titolo VIII – bis del libro quarto, sui procedimenti collettivi. La disciplina in materia di azione di classe viene così trasferita dal codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, al codice di procedura civile.
Secondo quanto dispone l’art. 7 della legge, le nuove disposizioni entreranno in vigore decorsi dodici mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale e le relative sanzioni saranno applicabili solo alle condotte illecite poste in essere successivamente alla data della loro entrata in vigore.

27 marzo 2019

Già con la sentenza Cass., sez. u, 24 settembre 2018, n. 22438, era stato riconosciuto che «il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della l. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio».
Con la recente sentenza delle Sezioni unite n. 8312 del 25 marzo 2019 questa giurisprudenza è stata ritenuta altresì applicabile al deposito sia «di copia analogica della decisione impugnata sottoscritta con firma autografa ed inserita nel fascicolo informatico senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter della l. n. 53 del 1994, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa»; sia «di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della l. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa»; sia «di copia analogica della decisione impugnata redatta in formato elettronico e firmata digitalmente (e necessariamente inserita nel fascicolo informatico) senza attestazione di conformità del difensore ex art. 16 bis, comma 9 bis, d.l. n. 179 del 2012, convertito dalla l. n. 221 del 2012, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa».

22 marzo 2019

Con la sentenza n. 8230 del 22 marzo 2019 le Sezioni unite civili della Corte di cassazione, risolvendo un contrasto di giurisprudenza, hanno affermato che le norme di disciplina dell’attività urbanistica (art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e art. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985) prevedono la nullità degli atti tra vivi ad effetti reali esclusivamente per il caso in cui non vi risultino indicati gli estremi del titolo urbanistico relativo all’edificio che ne sia oggetto, indipendentemente dall’effettiva conformità della costruzione a tale titolo. Sicché non è la difformità dell’opera dal titolo abilitativo, ma la mancata indicazione degli estremi del titolo, a determinare la nullità, che peraltro non si applica né agli atti mortis causa né agli atti con effetti meramente obbligatori (come il contratto preliminare di vendita), essendone inoltre espressamente esclusi gli atti costitutivi di diritti reali di garanzia o di servitù e gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, collettive o individuali.

14 marzo 2019

Secondo una parte della giurisprudenza, «quando una delle parti abbia notificato all’altra la sentenza, il termine breve per impugnare decorre per la parte notificante dalla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, e non in quella eventualmente successiva di perfezionamento della notifica, in quanto la consegna dell’atto rende certa l’anteriorità della conoscenza della sentenza per l’impugnante, in applicazione analogica del principio dettato dall’art. 2704, primo comma, ultimo periodo, c.c.» (Cass., sez. I, 17 gennaio 2014, n. 883, m. 629776). Secondo altro orientamento giurisprudenziale «l’art. 326, comma 1, c.p.c. va interpretato nel senso che, pur in mancanza di un’espressa previsione al riguardo, i termini di cui all’art. 325 c.p.c. decorrono dalla notificazione della sentenza non solo per il soggetto cui la notificazione è diretta, ma anche per il notificante, per il quale il compimento della predetta attività segna il momento della conoscenza legale del provvedimento da impugnare, senza che rilevi l’intenzione del notificante stesso» (Cass., sez. I, 6 marzo 2018, n. 5177, m. 647951).
Chiamate a risolvere il contrasto, le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 6278 del 4 marzo 2019, hanno legittimato questo secondo orientamento, affermando che «in tema di notificazione della sentenza ai sensi dell’art. 326 c.p.c., il termine breve di impugnazione di cui al precedente art. 325, decorre, anche per il notificante, dalla data in cui la notifica viene eseguita nei confronti del destinatario, in quanto gli effetti del procedimento notificatorio, quale la decorrenza del termine predetto, vanno unitariamente ricollegati al suo perfezionamento e, proprio perché interni al rapporto processuale, sono necessariamente comuni ai soggetti che ne sono parti».

4 febbraio 2019

Con ordinanza n. 2723 del 30 gennaio 2019 la Prima sezione civile della Corte di cassazione ha chiesto che le Sezioni unite della corte stabiliscano se il rapporto tra le sezioni ordinarie e la sezione specializzata per l’impresa del medesimo ufficio giudiziario ponga una questione di competenza in senso tecnico, come ritiene un orientamento giurisprudenziale minoritario, o invece di mera ripartizione interna degli affari, come più plausibilmente sostiene la giurisprudenza prevalente. A sostegno della propria interpretazione l’orientamento minoritario rileva che la sezione specializzata ha una competenza territoriale più estesa rispetto al tribunale presso il quale è istituita, sicché deve essere considerata come un autonomo ufficio giudiziario caratterizzato da una propria specifica competenza territoriale. Ma si tratta di una petizione di principio, perché è il tribunale presso il quale è istituita la sezione specializzata ad avere in quelle specifiche materie una competenza territoriale più estesa.

29 novembre 2018

Con la sentenza 27 novembre 2018, n. 30649, le Sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno ribadito che, nel caso di inadempimento dello Stato italiano all’obbligo di tempestiva trasposizione legislativa di direttive comunitarie non autoesecutive, la conseguente azione giudiziale  deve essere promossa nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma hanno precisato che, ove sia stato chiamato in giudizio un diverso organo dello Stato, il relativo difetto di legittimazione va immediatamente eccepito, altrimenti, in applicazione dell’art. 4 della l. n. 260 del 1958, la questione rimane preclusa.

2 ottobre 2018

Con la sentenza n. 22753 del 25 settembre 2018 le Sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno affermato che, a differenza di quanto previsto per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, i benefici riconosciuti ai superstiti delle altre vittime del dovere non spettano ai fratelli e alle sorelle che non fossero conviventi né a carico del defunto.

17 luglio 2018

L’art. 395 n. 5 c.p.c. prevede che una sentenza pronunciata in grado d’appello o in unico grado è impugnabile per revocazione se «è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».
Con la sentenza n. 14929 dell’8 giugno 2018 la Sezione tributaria della Corte di cassazione ha precisato che è inammissibile la revocazione delle sentenze (anche della Corte di cassazione) per errore di fatto, ai sensi degli art. 395, n. 4, e 391 -bis c.p.c., allorché il fatto sul quale si assume sia caduto l’errore «sia stato oggetto di contestazione tra le parti, cioè di posizioni contrapposte, e abbia così dato luogo a materia di contrasto e di dibattito, a fronte della quale la pronuncia del giudice non si può configurare come pura svista percettiva, ma assume necessariamente natura di valutazione e di giudizio, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio. Non è, pertanto, idonea a determinare un punto controverso la mera sollecitazione dell’esercizio dei poteri di controllo officiosi del giudice».

21 giugno 2018

Con la sentenza n. 16303 del 20 giugno 2018 le Sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto:
«Con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni di cui all’art. 2 bis d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale d’interesse praticato in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata – intesa quale commissione calcolata in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento – rispettivamente con il tasso soglia e con la “CMS soglia”, calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della predetta legge n. 108, compensandosi, poi, l’importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il “margine” degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati».
In precedenza la Prima sezione civile della corte aveva affermato che «in tema di contratti bancari, l’art. 2 bis comma 2, del d.l. n. 185 del 2008 (convertito dalla l. n. 2 del 2009), che attribuisce rilevanza, ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e degli artt. 2 e 3 della l. n. 108 del 1996, agli interessi, alle commissioni e alle provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’uso dei fondi da parte del cliente, non ha carattere interpretativo ma innovativo, e non trova pertanto applicazione ai rapporti esauritisi in data anteriore all’entrata in vigore della legge di conversione, con la conseguenza che, in riferimento a tali rapporti, la determinazione del tasso effettivo globale, ai fini della valutazione del carattere usurario degli interessi applicati, deve aver luogo senza tener conto della commissione di massimo scoperto» (Cass., sez. I, 3 novembre 2016, n. 22270, m. 642644, Cass., sez. I, 22 giugno 2016, n. 12965, m. 640110). La Cassazione civile si era posta così in consapevole contrasto con la giurisprudenza penale che aveva attribuito natura interpretativa all’art. 2 bis comma 2, del d.l. n. 185 del 2008, applicandolo retroattivamente.

7 giugno 2018

Il decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 61, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 129 del 6 giugno 2018, ha inserito nel codice della navigazione il seguente nuovo articolo:

«Art. 347-bis (Mantenimento dei diritti del personale marittimo in caso di trasferimento d’azienda)
Ferme restando le norme del presente codice e delle leggi speciali, le disposizioni in materia di trasferimento di azienda di cui all’articolo 2112, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma, del codice civile si applicano anche in caso di trasferimento di una nave marittima quale parte del trasferimento di un’impresa, di uno stabilimento o di parte di un’impresa o di uno stabilimento ai sensi dell’articolo 2112, quinto comma, del codice civile, a condizione che il cessionario si trovi ovvero che l’impresa, lo stabilimento o la parte di impresa o di stabilimento trasferiti rimangano nell’ambito di applicazione territoriale del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Le disposizioni in materia di trasferimento di azienda non si applicano qualora l’oggetto del trasferimento consista esclusivamente in una o più navi marittime».

24 maggio 2018

Con tre importanti decisioni le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affrontato la questione «della attuale portata del principio della compensatio lucri cum damno»; e risolvendo alcuni contrasti di giurisprudenza, hanno offerto «una risposta all’interrogativo se e a quali condizioni, nella determinazione del risarcimento del danno da fatto illecito, accanto alla poste negative si debbano considerare, operando una somma algebrica, le poste positive che, successivamente al fatto illecito, si presentano nel patrimonio del danneggiato».

Con la sentenza n. 12565 del 22 maggio 2018 si è affermato che «il danno da fatto illecito deve essere liquidato sottraendo dall’ammontare del danno risarcibile l’importo dell’indennità assicurativa derivante da assicurazione contro i danni che il danneggiato-assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto»

Con la sentenza n. 12566 del 22 maggio 2018 si è affermato che «l’importo della rendita per l’inabilita permanente corrisposta dall’INAIL per l’infortunio “in itinere” occorso al lavoratore va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del terzo responsabile del fatto illecito».

Con la sentenza n. 12564 del 22 maggio 2018 si è affermato che dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui non deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità riconosciuta dall’Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto.

10 maggio 2018

Nella giurisprudenza civile della Corte di cassazione è controverso se, nel caso in cui una delle parti abbia notificato una sentenza al fine di far decorrere il termine breve di impugnazione, tale termine breve per impugnare decorra, anche per la stessa parte notificante, dalla data di consegna della sentenza all’ufficiale giudiziario o da quella, eventualmente successiva, di perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario. Secondo una parte della giurisprudenza, infatti, «quando una delle parti abbia notificato all’altra la sentenza, il termine breve per impugnare decorre per la parte notificante dalla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, e non in quella eventualmente successiva di perfezionamento della notifica, in quanto la consegna dell’atto rende certa l’anteriorità della conoscenza della sentenza per l’impugnante, in applicazione analogica del principio dettato dall’art. 2704, primo comma, ultimo periodo, c.c.» (Cass., sez. III, 17 gennaio 2014, n. 883). Secondo altra giurisprudenza, invece, «la notificazione di una sentenza o di una prima impugnazione (nella specie, non iscritta a ruolo e, quindi, seguita dalla notifica di una seconda impugnazione) evidenziano la conoscenza legale del provvedimento impugnato e fanno, pertanto, decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. a carico del notificante solo dal momento del perfezionamento del procedimento di notificazione nei confronti del destinatario, atteso che, da un lato, il principio di scissione soggettiva opera esclusivamente per evitare al notificante effetti pregiudizievoli derivanti da ritardi sottratti al suo controllo e, dall’altro lato, la conoscenza legale rientra tra gli effetti bilaterali e deve, quindi, realizzarsi per entrambe le parti nello stesso momento» (Cass., sez. VI, 7 maggio 2015, n. 9258).

Con ordinanza n. 10507 del 3 maggio 2018, la Seconda sezione della Corte ha rimesso gli atti al Primo Presidente ai fini dell’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni unite per la risoluzione della questione controversa.

27 aprile 2018

Sulla Gazzetta ufficiale n. 96 del 26 aprile 2018 è stato pubblicato il decreto 8 marzo 2018 del Ministro della giustizia, «Regolamento recante modifiche  al  decreto  10  marzo  2014,  n.  55, concernente la determinazione dei parametri per la  liquidazione  dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247». Nel contesto di talune modifiche alla disciplina dei parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale, è previsto uno specifico aumento del compenso nella misura del 30 per cento «quando gli atti depositati con modalità telematiche sono redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto».

12 aprile 2018

Con ordinanza n. 8981/2018, depositata l’11 aprile 2018, Le Sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno dichiarato inammissibile il conflitto di giurisdizione sollevato d’ufficio dal giudice amministrativo dopo il passaggio della causa in decisione, anziché alla prima udienza. Non v’è dubbio infatti che l’art. 73 comma 3, secondo periodo, cod. proc. amm., riconosca in via generale al giudice il potere di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio anche dopo il passaggio della causa in decisione, purché previa riapertura del contraddittorio. Ma questa disposizione non giustifica una deroga alla disposizione dell’art. 11 comma 3 cod. proc. amm., che impone comunque al giudice di esercitare entro la prima udienza il potere di sollevare d’ufficio un conflitto di giurisdizione, riservando così una disciplina speciale a questa particolare questione rilevabile d’ufficio.

26 marzo 2018

Con sentenza n. 6928 del 20 marzo 2018 le Sezioni unite civili della Corte di cassazione, affrontando una questione di massima di particolare importanza, hanno ribadito che,  benché il trattamento pensionistico erogato dai fondi pensioni integrativi abbia natura previdenziale, non vi si applica l’art. 16, comma 6, della I. 30 dicembre 1991, n. 412, laddove impone il divieto di cumulo tra rivalutazione monetaria e interessi legali maturati per i debiti degli enti pubblici gestori di forme di previdenza obbligatoria.  Secondo la Corte costituzionale, infatti,  l’art. 38 Cost. “non esclude la possibilità di un intervento legislativo che, per una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica, riduca in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante” (C. cost., n. 361/1996). Sicché, quando si tratti di fondi pensione pubblici, il divieto di cumulo tra rivalutazione e interessi è compatibile con la Costituzione, mentre il cumulo è legittimo quando si tratti di fondi pensione privati, che non gravano sul bilancio dello Stato.

18 marzo 2018

Sulla Gazzetta ufficiale n. 63 del 16 marzo 2018 è stato pubblicato il d.m. 9 febbraio 2018, n. 17,  Regolamento recante la disciplina dei corsi di formazione per l’accesso alla professione di avvocato, ai sensi dell’articolo 43, comma 2, della legge 31 dicembre 2012, n. 247.

Si completa così la disciplina dell’accesso alla professione forense, a integrazione del d.m. 17 marzo 2016 n. 58 (Regolamento recante disciplina dell’attività di praticantato del praticante avvocato presso gli uffici giudiziari) e del d.m. 17 marzo 2016 n. 70 (Regolamento recante la disciplina per lo svolgimento del tirocinio per l’accesso alla professione forense ai sensi dell’articolo 41, comma 13, della legge 31 dicembre 2012, n. 247) .