NOVITÀ PENALE

22 settembre 2023

Cass., sez. un., 25 maggio 2023, n. 38481, depositata il 21 settembre 2023, intervenuta a risolvere un contrasto di giurisprudenza, ha enunciato il seguente principio di diritto: «l’art. 573 comma 1-bis c.p.p., introdotto dall’art. 33 del d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione».

Si tratta tuttavia di una decisione non condivisibile, perché fondata su una palese petizione di principio.

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18 settembre 2023

Con d.l. 15 settembre 2023, n. 123 (pubblicato in Gazz. Uff. n. 216 del 15 settembre 2023), sono state dettate «misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale». In particolare è stato modificato il d.P.R 22 settembre 1988, n. 448, relativo al procedimento minorile.

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11 agosto 2023

Con d.l. 10 agosto 2023, n. 105, (pubblicato in Gazz. Uff. n. 186 del 10 agosto 2023) sono state dettate nuove disposizioni in tema di intercettazioni.

Con disposizione applicabile anche ai procedimenti in corso, l’art. 1 del decreto ha stabilito che l’art. 13 d.l. n. 152/1991 (relativo in particolare ai reati di criminalità organizzata) si applica «anche nei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 452-quaterdecies e 630 del codice penale, ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale o al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo».

L’art. 2 del decreto prevede l’istituzione di «apposite infrastrutture digitali interdistrettuali» per la gestione e l’archiviazione dei risultati delle intercettazioni.

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2 agosto 2023

Con la sentenza n. 170/2023, depositata il 27 luglio 2023, la Corte costituzionale, intervenuta a decidere su un conflitto di attribuzione, ha affermato, con riferimento a messaggi Whatsapp, che, «analogamente all’art. 15 Cost., quanto alla corrispondenza della generalità dei cittadini, anche, e a maggior ragione, l’art. 68/3, Cost. tuteli la corrispondenza dei membri del Parlamento – ivi compresa quella elettronica – anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo, essa non abbia perso ogni carattere di attualità, in rapporto all’interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento “storico”».

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29 luglio 2023

Con la sentenza n. 178/2023, depositata il 28 luglio 2023, la Corte costituzionale, richiamata la giurisprudenza della Corte europea di giustizia (sentenza 6 giugno 2023 in causa C-700/21, O. G.), ha dichiarato costituzionalmente illegittima questa norma nella parte in cui non prevede analoga possibilità di rifiuto della consegna di un cittadino di un paese terzo che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano da almeno cinque anni e sia sufficientemente integrata in Italia, tenuto conto «“legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici” che il cittadino del paese terzo intrattiene con lo Stato italiano, nonché della natura, della durata e delle condizioni del suo soggiorno in Italia».

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19 luglio 2023

La legge 24 maggio 2023, n. 60 (in Gazz. Uff., 1 giugno 2023, n. 127) ha disciplinato l’arresto obbligatorio in flagranza per i reati punibili a querela della persona offesa.

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13 luglio 2023

Con D.M. 4 luglio 2023 (Gazz. Uff. n. 155 del 5 luglio 2023) sono stati elencati gli atti il cui deposito da parte dei difensori «avviene esclusivamente mediante il portale del processo penale telematico ai sensi dell’art. 87, comma 6 ter, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, e con le modalità individuate con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia».

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6 giugno 2023

Con la sentenza n. 111/2023, depositata il 6 giugno 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 64/3, «nella parte in cui non prevede che gli avvertimenti ivi indicati siano rivolti alla persona sottoposta alle indagini o all’imputato prima che vengano loro richieste le informazioni di cui all’art. 21» disp. att.

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23 maggio 2023

Cass., sez. un., 23 febbraio 2023, A., depositata il 22 maggio 2023, ha enunciato i seguenti principi di diritto:

«La legittimazione del procuratore generale a proporre appello avverso le sentenze di primo grado a seguito dell’acquiescenza del procuratore della Repubblica consegue alle intese o alle altre forme di coordinamento richieste dall’art. 166-bis disp. att. cod. proc. pen. che impongono al procuratore generale di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni del procuratore della Repubblica in merito all’impugnazione della sentenza;

L’acquiescenza del procuratore della Repubblica al provvedimento (art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen.) non è riferibile anche al pubblico ministero che abbia presentato le conclusioni nel giudizio di primo grado;

In assenza delle condizioni per presentare appello ai sensi dell’art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen., il procuratore generale non è legittimato a proporre ricorso immediato per cassazione ex art. 569 cod. proc. pen. né ricorso ordinario ai sensi degli artt. 606, comma 2, e 608 cod. proc. pen.».

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8 aprile 2023

Cass., sez. U, 27 ottobre 2022, 14840, depositata il 6 aprile 2023, ha escluso che il rito dell’ammissione alla prova di cui all’art. 168 bis c.p. sia applicabile con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti di cui al d.lgs. n. 231 del 2001; e ha affermato che «il procuratore generale è legittimato ad impugnare con ricorso per cassazione, per i motivi di cui all’art. 606, l’ordinanza di ammissione alla prova di cui all’art. 464 bis», aggiungendo che l’omessa comunicazione dell’ordinanza di ammissione alla prova non esclude «il potere del procuratore generale di impugna zione di essa unitamente alla sentenza che dichiara estinto il reato ex art. 464 septies, secondo la regola generale fissata dall’art. 586, atteso che, sebbene sia previsto un apposito rimedio impugnatorio dall’art. 464 quater/7, nondimeno l’impossibilità di accedere ad esso da parte del legittimato all’impugnazione, stante l’esaurimento della fase di esperimento del rimedio, nonché della messa alla prova, comporta la riespansione del potere di impugnazione, secondo le regole generali dettate per le ordinanze in uno ai rimedi avverso di esse esperibili».

Con la sentenza n. 65/2023, depositata il 7 aprile 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato:

1) l’illegittimità costituzionale dell’art. 70, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui si riferisce all’infermità «mentale», anziché a quella «psicofisica»;

2) l’illegittimità costituzionale dell’art. 71, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico»;

3) l’illegittimità costituzionale dell’art. 72, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui si riferisce allo stato «di mente», anziché a quello «psicofisico», e, nel comma 2, nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico»;

4) l’illegittimità costituzionale dell’art. 72 bis, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico».

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16 dicembre 2022

Cass., sez. un., 31 marzo 2022, n. 47182, depositata il 13 dicembre 2022, ha enunciato il seguente principio di diritto: «qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali, l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di violazione di legge che, ove non dedotta nell’appello, resta preclusa dalla inammissibilità del ricorso».

Cass., sez. un., 29 settembre 2022, n. 47502, depositata il 15 dicembre 2022, ha riconosciuto la controversa ricorribilità della sentenza che abbia omesso di applicare una pena accessoria, ma ha escluso il rimedio della rettificazione ex art. 619/2 e ribadito l’annullabilità senza rinvio a norma dell’art. 620/1, lettera l), della sentenza, impregiudicato, ove si tratti di pena predeterminata nella durata, il potere del p.m., una volta passata in giudicato la sentenza, di attivare, a norma degli art. 662 e 183 disp. att., il procedimento di esecuzione, da tenersi nelle forme dell’art. 676, non trovando applicazione l’art. 130.

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27 ottobre 2022

Cass., sez. un., 31 marzo 2022, n. 38809, depositata il 13 ottobre 2022, ha enunciato il seguente principio di diritto «Pur in presenza di un ricorso inammissibile, spetta alla Corte di cassazione, in attuazione degli artt. 3, 13, 25 e 27 Cost., il potere di rilevare l’illegalità della pena determinata dall’applicazione di sanzione ab origine contraria all’assetto normativo vigente».

Cass., sez. un., 28 aprile 2022, n. 39614, depositata il 19 ottobre 2022, ha enunciato il seguente principio di diritto: «il giudice di appello che, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pervenga alla conclusione – sia sulla base della semplice “constatazione” di un errore nel quale il giudice di primo grado sia incorso sia per effetto di “valutazioni” difformi – che la causa estintiva è maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute».

Cass., sez. un., 13 giugno 2022, n. 38810, depositata il 13 ottobre 2022, ha enunciato i seguenti principi di diritto: «la sentenza di condanna emessa a seguito di giudizio abbreviato che abbia omesso di statuire in ordine alla misura di sicurezza dell’espulsione (ai sensi dell’art. 86, comma 1, d. P. R. n. 309 del 1990) non è, sotto tale profilo, appellabile dal pubblico ministero al tribunale di sorveglianza ex art. 680 ma impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 608»; «se, in relazione alla omessa disposizione della misura di sicurezza dell’espulsione, è annullata la sentenza di un tribunale o di un giudice per le indagini preliminari, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale ai sensi dell’art. 623/1, lett. d)».

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24 ottobre 2022

Il prossimo 1 novembre 2022 entrerà in vigore il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, di riforma della giustizia penale, che ha apportato significative modifiche a molti articoli del codice di procedura penale e del codice penale, oltre a profonde innovazioni  alla disciplina delle pene sostitutive con interventi sulla l. 24 novembre 1981, n. 689.

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14 luglio 2022

Con la sentenza n. 173/2022, depositata il 12 luglio 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 538, nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131 bis del codice penale, decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti».

Con la sentenza n. 174/2022, depositata il 12 luglio 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 168 bis/4, c.p., nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nell’ipotesi in cui si proceda per reati connessi, ai sensi dell’art. 12/1, lettera b), con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso».

Cass., sez. un. 24 febbraio 2022, n. 26252, depositata il 7 luglio 2022, ha enunciato il seguente principio di diritto: «i limiti di impignorabilità delle somme spettanti a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a titolo di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengano luogo di pensione o di assegno di quiescenza, previsti dall’art. 545 c.p.c., si applicano anche alla confisca per equivalente ed al sequestro ad essa fina lizzato».

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24 giugno 2022

Con la sentenza n. 159/2022, depositata in data odierna, La Corte costituzionale ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 83 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dall’assicurazione obbligatoria prevista dall’art. 12/8, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), l’assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato».

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22 giugno 2022

Cass., sez. un., 27 gennaio 2022, n. 23400, depositata il 20 giugno 2022, ha enunciato il seguente principio di diritto: «nel procedimento speciale di cui all’art. 444, l’accordo delle parti sulla applicazione di una pena detentiva di cui viene richiesta la sospensione condizionale deve estendersi anche agli obblighi ulteriori eventualmente connessi ex lege alla concessione del beneficio, indicandone, quando previsto, la durata, con la conseguenza che, in mancanza di pattuizione pure su tali elementi, la sospensione non può essere accordata e, qualora al suo riconoscimento sia stata subordinata l’efficacia della stessa richiesta di applicazione della pena, questa deve essere integralmente rigettata».

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16 giugno 2022

Con la sentenza n. 149/2022, depositata in data odierna, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. «nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171 ter della legge 22 aprile 1941, n. 633 (protezione del di-ritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174 bis della medesima legge»; ma ha escluso di poter estendere la decisione a tutti i casi in cui «sia stata già irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo non legato a quello penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, una sanzione avente carattere sostanzialmente penale ai sensi della CEDU e dei relativi protocolli».

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15 giugno 2022

Con la sentenza n. 146/2022, depositata il 14 giugno 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 c.p.p. nella parte in cui non prevede, in seguito alla contestazione di reati connessi a norma dell’art. 12 comma 1, lettera b), c.p.p., la facoltà dell’imputato di richiedere la sospensione del procedi-mento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli.

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10 maggio 2022

Con la sentenza n. 111/2022, depositata il 9 maggio 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 568, comma 4, del codice di procedura penale, in quanto interpretato nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza di appello che, in fase predibattimentale e senza alcuna forma di contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato».

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5 maggio 2022

Cass., sez. un., 30 settembre 2021, n. 17156, depositata il 3 maggio 2022, ha enunciato i seguenti principi di diritto:

«Nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona, la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare deve essere notificata, a cura del richiedente, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza, alla persona offesa, a condizione, in quest’ultimo caso, che essa abbia dichiarato o eletto domicilio».

«In ragione delle finalità eminentemente informative e partecipative al processo della notifica di cui all’art. 299, comma 4-bis, c.p.p., essa, in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato, deve essere effettuata, con le stesse modalità previste per la vittima, ai prossimi congiunti o alla persona a quella legata da relazione affettiva e stabilmente convivente».

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17 aprile 2022

Cass., sez. un., 25 novembre 2021, n. 14573, depositata il 14 aprile 2022, ha enunciato il seguente principio di diritto: «nel caso di domicilio dichiarato, eletto o determinato ai sensi dell’art. 161, commi 1, 2 e 3, c.p.p., il tentativo di notificazione con il mezzo della posta, demandato all’ufficio postale ai sensi dell’art. 170 e non andato a buon fine per irreperibilità del destinatario, integra, senza necessità di ulteriori adempimenti, l’ipotesi della notificazione divenuta impossibile e/o della dichiarazione mancante o insufficiente o inidonea di cui all’art. 161, comma 4, prima parte, c.p.p. In questo caso, di conseguenza, la notificazione deve essere eseguita dall’ufficiale giudiziario mediante consegna al difensore, salvo che l’imputato, per caso fortuito o forza maggiore, non sia stato in condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, dovendosi, in tal caso, applicare le disposizioni degli artt. 157 e 159 c.p.p.». Inoltre, in un obiter dictum, la sentenza assurdamente equipara la temporanea assenza dell’imputato alla insufficienza o inidoneità della dichiarazione o elezione di domicilio, che l’art. 161 comma 4 c.p.p. assimila a una ben più radicale impossibilità di notificazione

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31 marzo 2022

Cass., sez. un., 30 settembre 2021, n. 11586, depositata il 30 marzo 2022, ha enunciato il seguente principio di diritto: «la riforma, in appello, della sentenza di assoluzione non è preclusa nel caso in cui la rinnovazione della prova dichiarativa decisiva, oggetto di discordante valutazione, sia divenuta impossibile per decesso del dichiarante; tuttavia, la motivazione della sentenza che si fondi sulla prova non rinnovata deve essere rafforzata sulla base di elementi ulteriori, idonei a compensare il sacrificio del contradditorio, che il giudice ha l’onere di ricercare ed eventualmente acquisire anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all’art. 603 comma 3  c.p.p.».

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27 marzo 2022

Cass., sez. un., 16 dicembre 2021, n. 10728, depositata il 24 marzo 2022, ha enunciato il seguente principio di diritto: «Non è abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari non accolga la richiesta di archiviazione e restituisca al pubblico ministero gli atti, perché effettui nuove indagini consistenti nell’interrogatorio dell’indagato, trattandosi di provvedimento che, non solo non risulta avulso dall’intero ordina-mento processuale, ma costituisce espressione di poteri riconosciuti al giudice dall’ordinamento. L’abnormità va esclusa anche nel caso in cui l’interrogatorio debba espletarsi con riguardo ad un reato diverso da quello per il quale è stata richiesta l’archiviazione, essendo dovuta, in tale caso, la previa iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p.».

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12 marzo 2022

Cass., sez. un., 25 novembre 2021, n. 8193, depositata il 9 marzo 2022, ha precisato che il difetto di giurisdizione può essere rilevato a norma dell’art. 20 c.p.p., in ogni stato e grado del procedimento, anche quando l’attribuzione della giurisdizione sia effetto della connessione tra procedimenti a norma dell’art. 13 c.p.p., escludendo l’applicabilità dell’art. 21 comma 3, c.p.p. circa i termini entro cui è rilevata o eccepita l’incompetenza per connessione. Ha dunque enunciato il seguente principio di diritto: «posto che il riparto di potestà tra giudice ordinario e giudice militare attiene alla giurisdizione e non alla competenza in conformità all’art. 103 comma 3, della Costituzione, anche il precetto integrativo concernente la connessione tra reati comuni e reati militari, di cui all’art. 13 comma 2 c.p.p., si inquadra nello stesso riparto, con la conseguenza che la sua violazione integra un difetto di giurisdizione, deducibile o rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi dell’art. 20 c.p.p.».

Cass., sez. un., 30 settembre 2021, n. 7635, depositata il 3 marzo 2022, ha enunciato il seguente principio di diritto «la restrizione dell’imputato agli arresti domiciliari per altra causa, documentata o, comunque, comunicata al giudice procedente, in qualunque tempo, integra un impedimento legittimo a comparire che impone al medesimo giudice di rinviare ad una nuova udienza e disporne la traduzione».

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5 febbraio 2022

Cass., sez. un., 28 ottobre 2021, n. 3512, depositata il 31 gennaio 2022, ha chiarito che «la sentenza predibattimentale di proscioglimento ex art. 469 c.p.p. è esclusivamente quella pronunziata nella fase degli atti preliminari, ossia fino al compimento delle formalità previste dall’art. 484 c.p.p., che ne segna l’esaurimento; mentre il proscioglimento anticipato deciso una volta instaurato il contraddittorio nell’udienza pubblica deve considerarsi sempre pronunziato in applicazione della regola di giudizio di cui all’art. 129 c.p.p e la relativa sentenza risulta appellabile nei limiti in cui la legge lo consente»

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24 gennaio 2022

Con la sentenza n. 18/2022, depositata in data odierna, la Corte costituzionale ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 41 bis comma 2-quater, lettera e), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non esclude dalla sottoposizione a visto di censura la corrispondenza intrattenuta con i difensori» dai detenuti; e in continuità con C. cost.,  n. 349/1993 ha chiarito che  il divieto ex art. 103 comma 6 c.p.p. di ogni forma di controllo della corrispondenza con i difensori vige anche per gli imputati in custodia cautelare sottoposti al regime di cui all’art. 41 bis Ordin. penit.

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22 gennaio 2022

Con la sentenza n. 16/2022, depositata il 21 gennaio 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 comma 2 c.p.p., «nella parte in cui non prevede che il giudice per le indagini preliminari, che ha rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante, sia incompatibile a pronunciare sulla nuova richiesta di decreto penale formulata dal p.m. in conformità ai rilievi del giudice stesso».

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19 gennaio 2022

Con la sentenza n. 7/2022, depositata il 18 gennaio 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità degli art. 623 comma 1, lettera a), e 34 comma 1 c.p.p., nella parte in cui non prevedono che il giudice dell’esecuzione debba essere diverso da quello che ha pronunciato l’ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena, a seguito di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata con rinvio dalla Corte di cassazione.

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1 dicembre 2021

Il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 188, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 284 del 29 novembre 2021, ha dettato «disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali».
In particolare ha inserito nel codice di procedura penale l’art. 115 bis e modificato l’art. 5 decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, oltre agli art. 314, 329, e 474 c.p.p.

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8 novembre 2021

Le Sezioni unite della Corte di cassazione sono intervenute a risolvere un contrasto di giurisprudenza relativo all’interpretazione degli art. 282 bis e 282 ter c.p.p. Si era affermato in giurisprudenza che «il divieto di avvicinamento previsto dall’art. 282 ter c.p.p. deve contenere l’indicazione specifica dei luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa solo quando le modalità della condotta criminosa non manifestino un campo di azione che esuli dai luoghi che costituiscono punti di riferimento della propria quotidianità di vita, dovendo, invece, il divieto di avvicinamento essere riferito alla stessa persona offesa, e non ai luoghi da essa frequentati, laddove la condotta, di cui è temuta la reiterazione, si connoti per la persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima, in qualsiasi luogo questa si trovi» (Cass., sez. V, 8 marzo 2016, S, m. 267792, Cass., sez. V, 17 novembre 2020, L, m. 280491. Contra, per la plausibile esigenza di specifica indicazione dei luoghi interdetti, Cass., sez. V, 26 maggio 2015, F, m. 265297, Cass., sez. VI, 22 gennaio 2015, R, m. 262456.
Cass., sez. un., 29 aprile 2021, n. 39005, depositata il 28 ottobre 2021, ha risolto il contrasto nel senso che, quando ritenga adeguata e proporzionata la sola misura cautelare dell’obbligo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa di cui all’art. 282 ter comma 1 c.p.p., il giudice può limitarsi a indicare tale distanza, mentre, nel caso in cui «disponga, anche cumulativamente, le misure del divieto di avvicinamento ai luoghi da essa abitualmente frequentati e/o di mantenimento della distanza dai medesimi, deve indicarli specificamente».

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19 ottobre 2021

Oggi è entrata in vigore la legge 27 settembre 2021, n. 134, che, oltre a delegare il Governo per un’ulteriore riforma della giustizia penale, ha apportato immediate modifiche al codice di procedura penale, inserendovi, in particolare con l’art. 344 bis e l’art. 578 comma 1-bis, la disciplina della improcedibilità dell’azione penale per eccessiva durata dei giudizi di impugnazione.

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30 agosto 2021

Cass., sez. un., 25 marzo 2021, n. 30305, depositata il 3 agosto 2021, ha enunciato il seguente principio di diritto: «la commutazione dell’ergastolo in attuazione di una condizione apposta in un provvedimento di estensione dell’estradizione, adottato da uno stato estero il cui ordinamento non ammette la pena perpetua, esplica i suoi effetti soltanto in relazione alla pena oggetto della condizione, nell’ambito della relativa procedura di estensione, senza operare con riguardo ad altra pena dell’ergastolo – oggetto di cumulo con la prima – irrogata con una condanna per la cui esecuzione sia stato in precedenza emesso altro provvedimento di estradizione non condizionato».

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13 giugno 2021

Cass., sez. un., 28 gennaio 2021, n. 22065, depositata il 4 giugno 2021, ha enunciato il seguente principio di diritto: «in caso di annullamento ai soli effetti civili, da parte della Corte di cassa-zione, per la mancata rinnovazione in appello di prova dichiarativa ritenuta decisiva, della sentenza che in accoglimento dell’appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l’imputato al risarcimento del danno, il rinvio per il nuovo giudizio va disposto dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello». E ha altresì precisato che dinanzi al giudice del rinvio vanno applicate le norme del codice di procedura civile. Si tratta però di una pronuncia paradossale, perché impone alla Corte di cassazione di annullare la decisione d’appello per la viola-zione di una norma che non dovrà essere osservata nel giudizio di rinvio. Non v’è infatti alcuna utilità né alcuna logica nel censurare la violazione di una norma che non si pretende poi di vedere osservata.

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26 aprile 2021

Cass., sez. un. 26 novembre 2020, n. 15498, depositata il 23 aprile 2021, ha enunciato i seguenti principi di diritto:

«il condannato con sentenza pronunciata in assenza che intenda eccepire nullità assolute ed insanabili, derivanti dall’omessa citazione in giudizio propria e/o del proprio difensore nel procedimento di cognizione, non può adire il giudice dell’esecuzione per richiedere ai sensi dell’art. 670 in relazione ai detti vizi, la declaratoria dell’illegittimità del titolo di condanna e la sua non esecutività; può, invece, proporre richiesta di rescissione del giudicato ai sen-si dell’art. 629 bis, allegando l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo che possa essere derivata dalle indicate nullità;

la richiesta formulata dal condannato perché sia dichiarata la non esecutività della sentenza ai sensi dell’art. 670, in ragione di nullità che abbiano riguardato la citazione a giudizio nel procedimento di cognizione, non è riqualificabile come richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 568/5».

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14 marzo 2021

Risolvendo un contrasto di giurisprudenza, Cass., sez. un., 17 dicembre 2020,  n. 7578, depositata il 26 febbraio 2021, ha enunciato il seguente principio di diritto: «il giudice di appello, investito dell’impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per reato contravvenzionale, lamenti l’illegittima riduzione della pena ai sensi dell’art. 442 c.p.p. nella misura di un terzo anziché della metà, deve applicare detta diminuente nella misura di legge, pur quando la pena irrogata dal giudice di primo grado non rispetti le previsioni edittali, e sia di favore per l’imputato».

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9 marzo 2021

Il decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 10 (in Gazz. Uff., 5 febbraio 2021, n. 30) , in attuazione della delega di cui all’articolo 6 della legge 4 ottobre 2019, n. 117, ha apportato modifiche significative alla legge 22 aprile 2005 n.69, recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri. L’intervento riformatore ha reso la disciplina del mandato d’arresto europeo maggiormente conforme alla decisione quadro e ne ha di molto accelerato il procedimento.

Cass., sez. un., 24 settembre 2020, Bottari, depositata il 14 gennaio 2021, ha enunciato il seguente principio di diritto: «il ricorso cautelare per cassazione avverso la decisione del tribunale del riesame o, in caso di ricorso immediato, del giudice che ha emesso la misura, deve essere presentato esclusivamente presso la cancelleria del tribunale che ha emesso la decisione o, nel caso indicato dall’art. 311 comma 2, c.p.p., del giudice che ha emesso l’ordinanza, ponendosi a carico del ricorrente il rischio che l’impugna-zione, presentata ad un ufficio diverso da quello indicato dalla legge, sia dichiarata inammissibile per tardività, in quanto la data di presentazione rilevante ai fini della tempestività è quella in cui l’atto perviene all’ufficio competente a riceverlo».

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31 gennaio 2021

Cass., sez. un., 29 ottobre 2020, Gialluisi, depositata il 27 gennaio 2021, ha stabilito che, perché possa essere eseguita in conseguenza di un giudicato parziale ex art. 624 c.p.p. la pena principale deve risultare completamente determinata con certezza: sicché non è ad esempio eseguibile la pena irrogata per uno dei reati unificati dalla continuazione, se non è definitivamente accertato quale sia il reato più grave; mentre è irrilevante che non risultino definitive le decisioni attinenti alle pene accessorie, alle misure di sicurezza ordinate con sentenza, alle confische non aventi natura di misura di sicurezza e alle statuizioni civili. La Corte ha dunque enunciato il seguente principio di diritto: «in caso di annullamento parziale (art. 624), è eseguibile la pena principale irrogata in relazione a un capo (o a più capi) non in connessione essenziale con quelli attinti dall’annullamento parziale per il quale abbiano acquisito autorità di cosa giudicata l’affermazione di responsabilità, anche in relazione alle circostanze del reato, e la determinazione della pena principale, essendo questa immodificabile nel giudizio di rinvio e individuata alla stregua delle sentenze pronunciate in sede di cognizione. La Corte di cassazione, con la sentenza rescindente o con l’ordinanza di cui all’art. 624 comma 2 c.p.p., può solo dichiarare, quando occorre, quali parti della sentenza parzialmente annullata sono diventate irrevocabili».

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23 gennaio 2021

La legge 18 dicembre 2020, n. 176 (pubblicata in Gazz. Uff., 24 dicembre 2020, n. 319), nel convertire con modificazioni il decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, ha abrogato il decreto legge 9 novembre 2020, n. 149, recependone peraltro le disposizioni, e ha introdotto tra l’altro importanti disposizioni sul deposito per via telematica degli atti, e in particolare delle impugnazioni, nella vigenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Specifiche cause di inammissibilità delle impugnazioni così depositate sono state aggiunte a quelle già previste dall’art. 591 c.p.p., con l’innovativa attribuzione al giudice a quo del potere di rilevarle e dichiararle.

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4 gennaio 2021

Cass., sez. un., 16 luglio 2020, Gerbino, depositata il 23 dicembre 2020, è intervenuta a risolvere una complessa controversia interpretativa in materia di astensione e ricusazione del giudice, già affrontata per alcuni aspetti da Cass., sez. un., 16 dicembre 2010, Digiacomantonio, e da Cass., sez. un., 27 gennaio 2011, Tanzi.

Ha posto innanzitutto due premesse: «a) che il divieto per il giudice ricusato di pronunciare sentenza ai sensi dell’art. 37/2, è riferibile anche al decreto che dispone il giudizio ed opera sino alla pronuncia di inammissibilità o di rigetto, anche non definitiva, dell’organo competente a decidere sulla ricusazione; b) che nell’ipotesi in cui il decreto che dispone il giudizio sia successivamente emesso dal giudice ricusato, lo stesso sarà affetto da nullità qualora la pronuncia di inammissibilità o di rigetto della dichiarazione di ricusazione sia annullata dalla Corte di cassazione e il difetto di imparzialità accertato dalla stessa corte o nell’eventuale giudizio di rinvio». Ha così concluso che «in caso di accoglimento della istanza di ricusazione del giudice dell’udienza preliminare, il decreto che dispone il giudizio – emesso in pendenza della decisione definitiva sulla domanda di ricusazione – non conserva efficacia ed è affetto da nullità ai sensi dell’art. 178/1, lett. a)».

Dato poi atto che appartiene all’esclusiva competenza funzionale del giudice della ricusazione stabilire con ordinanza se e in quale parte gli atti compiuti precedentemente dal giudice ricusato conservano efficacia, ha precisato che «contro tale ordinanza è proponibile, anche in caso di omessa pronuncia sulla conservazione della efficacia degli atti, ricorso per cassazione nelle forme dell’art. 611», risultando così sindacabile anche la selezione degli atti di cui sia possibile preservare l’efficacia.

Ha infine aggiunto che la natura non giurisdizionale del procedimento di astensione, «pur totalmente assimilato dal legislatore al modello della ricusazione per quel che attiene alla produzione degli effetti processuali conseguenti all’accoglimento della relativa dichiarazione ai sensi dell’art. 42/2, ne giustifica, a fronte della attuale disciplina del codice di rito, il peculiare meccanismo di recupero postumo dinanzi al giudice chiamato alla rinnovazione degli atti precedentemente compiuti, secondo le indicazioni al riguardo dettate nella sentenza Digiacomantonio», in particolare «in ordine alla individuazione di un meccanismo di controllo giurisdizionale attraverso la sindacabilità, nel contraddittorio delle parti, della declaratoria di efficacia ovvero della mancata declaratoria ad opera del giudice designato in luogo di quello astenutosi ai sensi dell’art. 43/1».

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26 ottobre 2020

C. cost. n. 218/2020, riconosciuta una irragionevole disparità di trattamento, ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 512, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall’imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), che, avendo ricevuto l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), sia stato citato per essere sentito come testimone».

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3 ottobre 2020

Risolvendo un contrasto di giurisprudenza in tema di giudizio di rinvio disposto a norma dell’art. 311 c.p.p., Cass., sez. un. 16 luglio 2020, n. 27104, depositata il 29 settembre 2020, ha affermato che, equiparato alla presentazione della richiesta di riesame l’arrivo alla cancelleria centrale del tribunale degli atti trasmessi dalla Corte di cassazione, da tale momento decorrono i termini prescritti sia dall’art. 309 comma 5 c.p.p. per l’autorità procedente, cui incombe l’onere di trasmettere al giudice del riesame anche gli atti eventualmente sopravvenuti, sia dall’art. 309 comma 10 c.p.p. per la decisione del tribunale.

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25 agosto 2020

Cass., sez. un. 28 novembre 2019,  n. 23948, depositata il 17 agosto 2020, ha enunciato il seguente principio di diritto, con riferimento alle situazioni precedenti alla introduzione dell’art. 162 comma 4-bis c.p.p.: «la sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420 bis, dovendo il giudice in ogni caso verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo ab-bia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso».

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2 agosto 2020

Cass., sez. un., 28 maggio 2020, n. 23166, depositata il 29 luglio 2020, ha risolto un contrasto di giurisprudenza denunciato dalla IV Sezione penale della corte, enunciando il seguente principio di diritto: «la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare di cui all’art. 297 comma 3 c.p.p., deve essere effettuata computando l’intera durata della custodia cautelare subita, anche se relativa a fasi non omogenee». Rimane così superata la pur prevalente giurisprudenza contraria, che computava solo i periodi relativi a fasi omogenee.

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28 giugno 2020

Con la sentenza n. 19214 del 23 aprile 2020, depositata il 24 giugno 2020, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato che «sussiste l’interesse del pubblico ministero ad impugnare il provvedimento con il quale il tribunale del riesame, rilevata l’incompetenza del giudice per le indagini preliminari, annulli, per carenza delle condizioni di applicabilità, l’ordinanza con cui quello stesso giudice ha disposto la misura cautelare della custodia in carcere, se l’impugnazione è funzionale a garantire il tempestivo intervento del giudice competente» a norma dell’art. 27 c.p.p.

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11 giugno 2020

Con la sentenza n. 17274 del 26 marzo 2020,, depositata il 5 giugno 2020, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: «in caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del tribunale del riesame in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del giudice delle indagini preliminari non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia a pena di inefficacia della misura suddetta».

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3 maggio 2020

Con il decreto legge 30 aprile 2020 è stata nuovamente differita l’entrata in vigore della riforma delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Ora è previsto che le nuove disposizioni si applichino nei procedimenti iscritti dopo il 31 agosto 2020.

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22 aprile 2020

L’art. 5 comma 1, d.l. 8 aprile 2020, n. 23, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 23 dell’8 aprile 2020, ha modificato l’art. 389 del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), il cui art. 373 prevedeva che talune modifiche all’art. 104 bis disp. att. c.p.p. entrassero in vigore a decorrere dal 14 agosto 2020; questa data è stata così differita all’1 settembre 2021.

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17 aprile 2020

Con la sentenza n. 11803 del 27 febbraio 2020, depositata il 9 aprile 2020, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: «nel procedimento di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari coercitive la persona detenuta o internata ovvero sottoposta a misura in concreto limitativa della possibilità di partecipare all’udienza camerale può esercitare il diritto di comparire personalmente all’udienza stessa solo se ne ha fatto richiesta, an-che per il tramite del difensore, con l’istanza di riesame, ferma restando la facoltà di chiedere di essere sentita su specifici temi con l’istanza di differimento ai sensi dell’art. 309, comma 9-bis c.p.p.».

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9 marzo 2020

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 34/2020, ha dichiarato «non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 6 febbraio 2018, n. 11, recante “Disposizioni di modifica della disciplina in materia di giudizi di impugnazione in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere f), g), h), i), l) e m), della legge 23 giugno 2017, n. 103”, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, 97 e 111 della Costituzione».

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5 marzo 2020

Con sentenza n. 5788 del 18 aprile 2019, depositata il 13 febbraio 2020, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: «nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria a norma dell’art. 438 comma 5 c.p.p., o nel quale l’integrazione sia stata disposta a norma dell’art. 441, comma 5, dello stesso codice, è possibile la modifica dell’imputazione solo per i fatti emergenti dagli esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall’art. 423 c.p.p.».

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4 marzo 2020

La legge 28 febbraio 2020, n. 7, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 50 del 28 febbraio 2020, ha convertito in legge con modificazioni il decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161, in materia di intercettazioni, prevedendo tra l’altro il differimento della sua applicabilità ai procedimenti iscritti dopo il 30 aprile 2020.

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17 febbraio 2020

C. cost., n. 19/2020 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 456, comma 2, c.p.p., «nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio immediato contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova».

C. cost., n. 14/2020 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 516 c.p.p., «nella parte in cui, in seguito alla modifica dell’originaria imputazione, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedi-mento con messa alla prova».

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15 febbraio 2020

Con la sentenza n. 5464 del 26 settembre 2019, depositata il 12 febbraio 2020, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno affermato che «nel giudizio di legittimità spetta alla Corte di cassazione provvedere, ai sensi dell’art. 541 c.p.p., alla condanna generica dell’imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato; spetta al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002».

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4 febbraio 2020

Con la sentenza n. 4535 del 18 aprile 2019, depositata il 3 febbraio 2020, le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: «la competenza a provvedere, ai sensi dell’art. 168 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sulla istanza di liquidazione delle spese di custodia dei beni sequestrati presentata dopo l’archiviazione del procedimento spetta al giudice per le indagini preliminari in qualità di giudice dell’esecuzione».
In precedenza Cass., sez. un., 24 aprile 2002, Fabrizi, aveva affermato che «la competenza a deliberare sulla richiesta di anticipazione o liquidazione finale del compenso presentata dal custode di cose sequestrate nell’ambito di procedimento penale appartiene nella fase successiva alla sentenza irrevocabile al giudice dell’esecuzione, nella fase delle indagini preliminari al P.M. il quale provvede con decreto motivato, nel corso del giudizio di cognizione al giudice che ha la disponibilità del procedimento il quale provvede “de plano”, osservandosi, in tutti i casi, le forme stabilite per il procedimento di esecuzione a norma dell’art. 666 c.p.p.».

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23 gennaio 2020

Con la sentenza n. 698 del 24 ottobre 2019, depositata il 13 gennaio 2020, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato che all’mputato assente non va notificata la sentenza conclusiva del giudizio abbreviato, perché l’abolizione della contumacia, e segnatamente la modifica dell’art. 548 comma 3 c.p.p. applicabile anche al giudizio abbreviato, ha comportato l’abrogazione implicita dell’art. 442 comma 3 c.p.p. e dell’art. 134 disp. att.

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7 gennaio 2020

Con d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 305 del 31 dicembre 2019, sono state modificate le disposizioni del codice di procedura penale sulle intercettazioni, differendone ulteriormente la applicabilità ai procedimenti iscritti dopo il 29 febbraio 2020.

Sulla disciplina delle intercettazioni sono intervenute anche le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza  28 novembre 2019, n. 51, depositata il 2 gennaio 2020, che che ha enunciato il seguente principio di diritto: «Il divieto di cui all’art. 270 di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 cod. proc. pen. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge».

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17 novembre 2019

Con la sentenza n. 45936 del 26 settembre 2019, depositata il 13 novembre 2019, le Sezioni unite della Corte di cassazione, superando il precedente orientamento di Cass., sez. un., 25 settembre 2014, Uniland Spa, hanno affermato che il curatore fallimentare, in quanto soggetto avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati, «è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale», sia quando il sequestro sia antecedente sia quando sia successivo alla dichiarazione del fallimento.

16 ottobre 2019

Con la sentenza n. 41736 del 30 maggio 2019, depositata il 10 ottobre 2019, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno enunciato i seguenti principi di diritto:
«il principio d’immutabilità del giudice, previsto dall’art. 525, comma 2, prima parte, cod. proc. pen., impone che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza sia non solo lo stesso giudice davanti al quale la prova è assunta, ma anche quello che ha disposto l’ammissione della prova, fermo restando che i provvedimenti sull’ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto devono intendersi confermati, se non espressamente modificati o revocati»;

«l’avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere, ai sensi degli artt. 468 e 493 cod. proc. pen., sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto, in quest’ultimo caso indicando specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione, ferma restando la valutazione del giudice, ai sensi degli artt. 190 e 495 cod. proc. pen., anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa»;

«il consenso delle parti alla lettura ex art. 511, comma 2, cod. proc. pen. degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, a seguito della rinnovazione del dibattimento, non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non chiesta, non ammessa o non più possibile».

8 ottobre 2019

Con la sentenza n. 40847 del 2019, depositata il 4 ottobre 2019, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto:

«Il divieto di restituzione di cui all’art. 324, comma 7, cod. proc. pen. opera anche in caso di annullamento del decreto di sequestro probatorio; tale divieto riguarda le cose soggette a confisca obbli-gatoria ex art. 240, secondo comma, cod. pen., ma non anche le cose soggette a confisca obbligatoria contemplata da previsioni speciali, con l’eccezione del caso in cui tali previsioni richiamino l’art. 240, secondo comma, cod. pen. o, comunque, si riferiscano al prezzo del reato o a cose la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato».

6 luglio 2019

Con la sentenza n. 28908 del  27 settembre 2018, depositata il 3 luglio 2019, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio: «l’incompetenza a conoscere dei reati appartenenti alla cognizione del giudice di pace deve essere dichiarata dal giudice togato in ogni stato e grado del processo, ai sensi dell’art. 48 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, disposizione che deroga al regime previsto dall’art. 23 comma 2 c.p.p. sulla rilevabilità dell’incompetenza per materia c.d. in eccesso entro precisi termini di decadenza; tuttavia nel caso in cui il giudice togato riqualifichi il fatto in un reato di competenza del giudice di pace, resta ferma la sua competenza per effetto del principio della perpetuatio iurisdictionis, purché l’originario reato gli sia stato attribuito nel rispetto delle norme sulla competenza per materia e la riqualificazione sia un effetto determinato da acquisizioni probatorie sopravvenute nel corso del processo». Inoltre con la coeva sentenza n. 28909 le Sezioni unite hanno aggiunto che analogamente, «nel caso in cui il giudice togato conosca del reato del giudice di pace per essere venuto meno il vincolo di connessione, resta ferma, per effetto del principio della “perpetuatio iurisdictionis”, la sua competenza, purché in origine correttamente individuata». Rimane così superata la giurisprudenza che tendeva a proporre un’interpretazione restrittiva dell’art. 48 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, escludendo che avesse portata derogatoria dell’art. 23 comma 2 c.p.p.

17 giugno 2019

Sulla Gazzetta ufficiale del 14 giugno 2019 è stato pubblicato il d.l. 14 giugno 2019, n. 53, recante «Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica». Si tratta di un provvedimento destinato a ulteriori restrizioni in materia di immigrazione, oltre che a contrastare attività violente in occasione di manifestazioni pubbliche e sportive. L’art. 7 del decreto ha apportato in questa prospettiva modifiche agli art. 339, 340, 419, 635 del codice penale; e l’art. 3 del decreto ha apportato l’ennesima modifica al comma 3 bis dell’art. 51 codice di procedura penale, integrandone i riferimenti alla disciplina dell’immigrazione.  L’art. 9 del decreto ha poi ulteriormente differito al 31 dicembre 2019 l’entrata in vigore di talune disposizioni del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, in particolare in tema di intercettazioni.

25 maggio 2019

Prevede l’art. 597 comma 5 c.p.p. che, in deroga a quanto previsto dall’art. 597 comma 1 c.p.p., il giudice d’appello  può applicare d’ufficio, anche oltre i limiti della devoluzione, la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti. Secondo la giurisprudenza prevalente, tuttavia, se non v’è specifica richiesta, il giudice non deve motivare sul mancato esercizio di tale potere discrezionale (Cass., sez. VI, 26 gennaio 2004, Calluso, m. 228468, Cass., sez. VI, 27 gennaio 2010, Mezini, m. 246139, Cass., sez. 7,, 13 gennaio 2015, Ciaccia, m. 263361, Cass., sez. V, 8 luglio 2015, Tota, m. 264552, Cass., sez. III, 29 settembre 2017, B, m. 271869). Secondo un orientamento minoritario della giurisprudenza, invece, «il giudice d’appello deve, seppur sinteticamente, rendere ragione del concreto esercizio, positivo o negativo, del potere – dovere attribuitogli dall’art. 597 comma 5, di applicare una o più circostanze attenuanti, con la conseguenza che sussiste la legittimazione dell’imputato a ricorrere per cassazione, pur in assenza di specifica richiesta nel giudizio d’appello, nel caso in cui il giudice dell’impugnazione, nell’espletare l’intervento officioso, sia incorso in violazione di legge, ovvero nell’ipotesi di mancato esercizio di tale potere – dovere, a condizione, tuttavia, che dal ricorrente siano indicati gli elementi di fatto in base ai quali il giudice avrebbe potuto ragionevolmente esercitarlo» (Cass., sez. III, 4 novembre 2015, G, m. 266138, Cass., sez. III, 12 luglio 2017, E, m. 271815).
Con la sentenza n. 22533 del 25 ottobre 2018, depositata il 22 maggio 2019, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno ora enunciato il seguente principio di diritto: «Fermo il dovere del giudice di appello di motivare il mancato esercizio del suo potere di ufficio di applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena, in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, specialmente se sopravvenute al giudizio di primo grado, l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della mancata applicazione del medesimo beneficio se non lo ha richiesto nel corso del giudizio di appello».

29 aprile 2019

Sulla Gazzetta ufficiale n. 93 del 19 aprile 2019 è stata pubblicata la legge 12 aprile 2019 n. 33, che ripristina la preclusione del giudizio abbreviato per i reati punibili con la pena dell’ergastolo.
Nel testo originario del codice il giudizio abbreviato era ammissibile per qualsiasi tipo di reato, anche se punibile con l’ergastolo. La Corte costituzionale, però, aveva ritenuto che questa estensione del rito anche ai reati più gravi contrastasse con la direttiva n. 53 legge delega, che si riferiva esplicitamente ai soli reati punibili con pena quantitativamente determinata (C. cost. n. 176/1991).  L’art. 30 l. 16 dicembre 1999, n. 479, ha poi ripristinato la disciplina originaria, rendendo il rito di nuovo ammissibile anche per i reati puniti con la pena dell’ergastolo, da sostituire con la pena di trent’anni di reclusione.
Successivamente l’art. 7 comma 1 d.l. 24 novembre 2000, n. 341,  convertito nella l. 19 gennaio 2001, n. 4, interpretò autenticamente il secondo comma, nel senso che l’espressione «pena dell’ergastolo» dovesse intendersi riferita «all’ergastolo senza isolamento diurno»; e l’art. 7 comma 2 dello stesso decreto vi aggiunse  la previsione della riduzione all’ergastolo della pena dell’ergastolo con isolamento diurno.
C. cost. n. 210/2013 ha però dichiarato illegittimo l’art. 7 comma 1 d.l. 24 novembre 2000, n. 341, per violazione dell’art. 117 comma 1, Cost., in relazione all’articolo 7 della CEDU, come riscontrata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza della Grande Camera del 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, che ha enunciato il principio della retroattività della legge penale meno severa, che si traduce «nella norma secondo cui, se la legge penale in vigore al momento della commissione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato». Sicché si sono esclusi gli effetti retroattivi in malam partem dell’art. 7 comma 1 d.l. 24 novembre 2000, n. 341. Ma si è precisato che, «in caso di condanna all’esito del giudizio abbreviato, la pena da infliggere per i reati astrattamente punibili con l’ergastolo è quella prevista dalla legge vigente nel momento della richiesta di accesso al rito: ne consegue che, ove quest’ultima sia intervenuta nel vigore dell’art. 7 D.L. n. 341 del 2000, va applicata (ed eseguita) la sanzione prevista da tale norma», perché «tra le diverse leggi succedutesi nel tempo, che prevedono la specie e l’entità della pena da infliggere all’imputato in caso di condanna all’esito del giudizio abbreviato per i reati astrattamente punibili con l’ergastolo, la legge intermedia più favorevole non trova applicazione quando la richiesta di accesso al rito speciale non sia avvenuta durante la vigenza di quest’ultima, ma soltanto successivamente, nel vigore della legge posteriore che modifica quella precedente» (Cass., sez. un., 19 aprile 2012, Giannone, m. 252932).
Infine la disciplina del giudizio abbreviato, già modificata dall’art. 1 comma 44, l. 23 giugno 2017, n. 103, con decorrenza dal 3 agosto 2017 secondo quanto disposto dall’art. 1 comma 95, è stata ulteriormente modificata dalla l. 12 aprile 2019, n. 33, che ha ripristinato l’inammissibilità del giudizio abbreviato per i reati puniti con la pena dell’ergastolo commessi dopo il 20 aprile 2019.

22 marzo 2019

Con la sentenza n. 12541 del 14 marzo 2019, depositata il 20 marzo 2019, la Sesta sezione penale della Corte di cassazione ha affermato che la sanzione civile accessoria prevista dall’art. 322-quater c.p. (riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio), non è irrogabile con la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, perché, contrariamente a quanto avviene in altre disposizioni (ad esempio art. 322-ter c.p.), l’art. 322-quater c.p. la prevede come irrogabile solo con la sentenza di condanna.

27 febbraio 2019

Con la sentenza n. 7915 del 3 dicembre 2018, depositata il 21 febbraio 2019, la Quinta sezione penale della Corte di cassazione ha affermato che, «nei reati abituali, all’arresto in flagranza è possibile procedere anche quando il bagaglio conoscitivo del soggetto che procede all’arresto derivi da pregresse denunce della vittima, relative a fatti a cui egli non abbia assistito personalmente, purché … tale soggetto assista ad una frazione dell’attività delittuosa che, sommata a quella oggetto di denuncia, integri l’abitualità richiesta dalla norma; ovvero, purché – già forte del suo bagaglio conoscitivo – il soggetto in questione sorprenda il reo con cose o tracce dalle quali appaia che questi ha commesso il reato immediatamente prima».
La decisione, priva di precedenti specifici, si riferisce a un caso di arresto in flagranza per il delitto di atti persecutori (art. 612 bis c.p.).

2 ottobre 2018

A lungo controversa, l’ammissibilità della continuazione tra reati puniti con pene detentive e reati puniti con pene pecuniarie, ancorché diverse per specie (reclusione e arresto, multa e ammenda), è stata ribadita dalle Sezioni unite penali della Corte di cassazione, con la sentenza n. 40983 del 21 giugno 2018, depositata il 24 settembre 2018. La Corte ha affrontato anche il connesso problema delle modalità di determinazione della pena, affermando che nei casi di continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, l’aumento di pena per il reato satellite non va effettuato mediante l’addizione alla pena base di un’altra pena eventualmente diversa per genere o per specie, bensì sempre secondo il criterio della moltiplicazione della pena base, ma rispettando il genere della pena prevista per il reato satellite. Sicché l’aumento della pena detentiva del reato più grave deve essere ragguagliato alla corrispondente pena pecuniaria (multa o ammenda) in applicazione dell’art. 135 c.p. E’ stata così superata anche la giurisprudenza, per cui l’aumento ex art. 81 c.p. possa essere operato mediante una maggiorazione quantitativa della pena base irrogata per il reato più grave.

26 luglio 2018

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 171 del 25 luglio 2018 è stato pubblicato il decreto legge 25 luglio 2018, n. 91, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative.
L’art. 2 del decreto prevede in particolare «proroga di termini in materia di giustizia», disponendo il differimento al 31 marzo 2019 dell’entrata in vigore della riforma delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, di cui al decreto  legislativo  29  dicembre 2017, n. 216, e la sospensione fino al 15 febbraio 2019 delle norme sulla partecipazione a distanza al processo penale introdotte dalla legge 23  giugno  2017,  n.  103.
Inoltre è stata differita al 1° gennaio 2022 la soppressione della sezione distaccata di Ischia del Tribunale di Napoli.

4 Luglio 2018

Con la sentenza n. 29847/2018 del 31 maggio 2018, depositata il 3 luglio 2018, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: «nel caso in cui la cessione di un credito ipotecario precedentemente insorto avvenga successivamente alla trascrizione del provvedimento di sequestro o di confisca di prevenzione del bene sottoposto a garanzia, tale circostanza non è in quanto tale preclusiva dell’ammissibilità della ragione creditoria, né determina di per sé uno stato di mala fede in capo al terzo cessionario del credito, potendo quest’ultimo dimostrare la buona fede». Hanno così risolto il contrasto tra due orientamenti giurisprudenziali: «l’uno per il quale il terzo cessionario di un credito garantito da ipoteca su beni sottoposti a sequestro e a confisca di prevenzione gode della medesima tutela attribuita al creditore originario a condizione che risulti anche nei suoi confronti l’esistenza del dato temporale, individuabile nell’anteriorità della cessione rispetto al sequestro, quale presupposto necessario per la verifica della buona fede del cessionario; e l’altro per cui invece il riconoscimento di una situazione di affidamento incolpevole del cessionario non è precluso dal fatto che la cessione del credito sia avvenuta successivamente al sequestro».

8 giugno 2018

Sulla Gazzetta ufficiale n. 130 del 7 giugno 2018 è stato pubblicato il decreto legislativo 11 maggio 2018, n. 63, che, nel dare attuazione alla «direttiva (UE) 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti», ha tra l’altro apportato significative modifiche anche al codice penale. In particolare, oltre a integrare l’art. 388 c.p. in tema di elusione dei provvedimenti del giudice, relativi a «misure inibitorie o correttive a tutela dei diritti di proprietà industriale», ha integralmente sostituito l’art. 623 c.p. con il testo seguente:

«Art. 623 (Rivelazione di segreti scientifici o commerciali). – Chiunque, venuto a cognizione per ragioni del suo stato o ufficio, o della sua professione o arte, di segreti commerciali o di notizie destinate a rimanere segrete, sopra scoperte o invenzioni scientifiche, li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto, è punito con la reclusione fino a due anni.
La stessa pena si applica a chiunque, avendo acquisito in modo abusivo segreti commerciali, li rivela o li impiega a proprio o altrui profitto.
Se il fatto relativo ai segreti commerciali è commesso tramite qualsiasi strumento informatico la pena è aumentata.
Il colpevole è punito a querela della persona offesa».

24 maggio 2018

Il 9 maggio 2018 è entrato in vigore il d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, recante «Disposizioni   di   modifica   della   disciplina   del   regime   di procedibilità per taluni reati in attuazione  della  delega  di  cui all’articolo 1, commi 16, lettere a) e  b),  e  17,  della  legge  23 giugno 2017, n. 103». L’art. 12, comma 2, del decreto prevede che per i reati in precedenza perseguibili d’ufficio, ove commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso decreto, il pubblico ministero, o il giudice dopo l’esercizio dell’azione penale, è tenuto a informare la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela. Tuttavia la Seconda Sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 23077 del 9 maggio 2018 (depositata il 23 maggio 2018), ha stabilito che «relativamente al reato di cui al novellato art. 646 c.p., già perseguibile d’ufficio ove fosse contestata l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 c.p., non va attivata la procedura di cui all’art. 12/2 d.lgs. citato, ove la persona offesa si sia costituita parte civile – restando irrilevante che la parte civile abbia successivamente abbandonato il processo – ed il reato sia stato comunque già dichiarato prescritto nel giudizio di merito». Si è ritenuto infatti che la costituzione di parte civile possa essere interpretata come manifestazione ante litteram della volontà di ottenere la punizione del colpevole.

10 maggio 2018

Con la sentenza 18 gennaio 2018, Ksouri, depositata il 9 maggio 2018, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato che «non è abnorme, e quindi non ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, restituisca gli atti al pubblico ministero perché valuti la possibilità di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis c.p.». In realtà, ove ritenga che la richiesta del pubblico ministero sia inaccoglibile per erronea qualificazione giuridica del fatto, benché non infondata, il giudice, secondo la giurisprudenza prevalente, non deve pronunciare sentenza di proscioglimento, ma deve limitarsi alla restituzione degli atti al richiedente, onde evitare preclusioni a un corretto esercizio dell’azione penale. Analogamente deve ritenersi che il giudice debba provvedere nel caso in cui intenda qualificare il fatto come di particolare tenuità, e dunque non punibile a norma dell’art. 131 bis c.p., perché anche quella di tenuità dell’offesa è una qualificazione giuridica (Cass., sez. V, 2 luglio 2015, Markikou).

26 aprile 2018

Sulla Gazzetta ufficiale n. 95 del 24 aprile 2018 è stato pubblicato il d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, recante «Disposizioni   di   modifica   della   disciplina   del   regime   di procedibilità per taluni reati in attuazione  della  delega  di  cui all’articolo 1, commi 16, lettere a) e  b),  e  17,  della  legge  23 giugno 2017, n. 103». Sono stati modificati gli art. 612, 615, 617 ter, 617 sexies, 619, 620, 640, 640 ter e 646 del codice penale, estendendo l’ambito della procedibilità a querela, sebbene con la previsione della procedibilità di ufficio in caso di concorso di circostanze aggravanti ad  effetto speciale. Si è inoltre dettata una disciplina transitoria della decorrenza dei termini per la proposizione della querela relativa a fatti commessi prima della data di entrata in vigore del decreto (9 maggio 2018) .

13 aprile 2018

Secondo la giurisprudenza prevalente, «la parte civile non è legittimata a ricorrere per cassazione contro il provvedimento che, in sede di riesame, abbia annullato o revocato l’ordinanza di sequestro conservativo disposto a favore della stessa parte civile» (Cass., sez. un., 25 settembre 2014, Gulletta, m. 260895). Questa discutibile giurisprudenza è stata rimessa in discussione da un’ordinanza che ne ha investito nuovamente le Sezioni unite(Cass., sez. V, 5 aprile 2017, n. 33282), che hanno in effetti riconosciuto la legittimazione della parte civile a ricorrere per cassazione, ma limitatamente al caso di violazione del contraddittorio determinata dal mancato avviso dell’udienza di riesame (Cass., sez. un., 28 settembre 2017, Fallimento Della Domal di De Lorenzis e C. s.a.s., depositata il 5 aprile 2018). Secondo questa recente decisione, dunque, «non avendo la parte civile – al pari del P.M. – la legittimazione a impugnare le ordinanze con le quali è stato disposto il sequestro conservativo (in assenza di un suo interesse), né quelle che lo hanno negato, anche solo parzialmente (mancando la previsione normativa), consegue che la medesima parte civile non è abilitata a proporre ricorso per cassazione ex art. 325 c.p.p. per ragioni diverse dalla violazione delle regole sul contraddittorio».

4 aprile 2018

I criteri dettati dall’art. 603 comma 3 bis c.p.p., per la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale «nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa», non sono invece applicabili quando sia appellata dall’imputato una sentenza di condanna, perché «nell’ipotesi di riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna, il giudice di appello non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna di primo grado», sebbene sia «tenuto a offrire una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado», «previa, ove occorra, rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva ai sensi dell’art. 603». Questo è il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite penali della Corte di cassazione con una sentenza depositata in data odierna (Cass., sez. un., 21 dicembre 2017, Troise).

24 marzo 2018

Sulla Gazzetta ufficiale n. 68 del 22 marzo 2018 è stato pubblicato il d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, recante «Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103».  Oltre a trasferire nel codice penale talune fattispecie di reato sinora previste da leggi speciali, con i conseguenti adattamenti anche del codice di procedura penale, viene inserita una dettagliata disciplina anche processuale della confisca in casi particolari.

17 marzo 2018

Sulla Gazzetta ufficiale n. 61 del 14 marzo 2018 è stato pubblicato il d. P.R. 15 gennaio 2018, n. 15, recante Regolamento di attuazione dei principi dettati dal d.lgs. 30 giugno 2003, n.196, codice in materia di protezione dei dati personali (privacy), con riferimento ai dati trattati per finalità di polizia. Il regolamento di attuazione era previsto dall’art. 57 d.lgs. 30 giugno 2003, n.196.

In precedenza la questione era già stata affrontata in giurisprudenza. In particolare, secondo Cass., sez. V, 5 dicembre 2006, Vulicevic, m. 235969, «non è inutilizzabile, in mancanza della violazione di un divieto di legge, l’accertamento sulla identità dell’indagato compiuto mediante ricorso ai dati relativi al DNA contenuti in un archivio informatico che la Polizia giudiziaria abbia istituito prescindendo dalle cautele previste dal codice sulla “privacy”».